Farsi sfiorare da scie incandescenti

Flower painting allebonicalzi 5
"Il rispetto è un diritto di tutti" Convegno Milano 28 aprile 2016
Biodanza: una pedagogia sociale per riscattare il bello della vita per riflettere sul sistema Biodanza e le sue diverse applicazioni in ambito istituzionale e nelle comunità.

(Immagine di Alle Bonicalzi -  www.allebonicalzi.com/personal/flower-paintings/ )
 

Esperienze di Biodanza con diversamente abili nell'ambito del Progetto Ponte della Cooperativa Il Margine-Unione NET
La Prof. Marilena Boffo, Operatrice di biodanza, Insegnante di scuola media, Insegnante di sostegno e Insegnante per adulti nei corsi per conseguire la licenza media, è intervenuta per illustrare come si può favorire lo sbocciare della 
gioia con l’attività di biodanza nei contesti in cui la fragilità si esprime con più evidenza. Di seguito pubblichiamo la sua relazione. 

Tre i contesti di fragilità portati ad esempio.
In primo luogo le classi in cui erano stati inseriti ragazzi diversamente abili: queste classi (quando alla base c’era un valido progetto condiviso da tutto il Consiglio di Classe) alla fine del percorso risultano più coese, più integrate affettivamente

Nei corsi prelavorativi dell’ENAIP di Settimo T.ese, con i ragazzi che presentano un alto rischio di non essere recuperati dall’abbandono scolastico, la biodanza ha favorito il sostegno affettivo in cui ognuno può scoprire e sperimentare soprattutto i propri punti di forza.

Nell’esperienza del Progetto Ponte della Cooperativa Il Margine- Unione NET con 12-15 persone adulte con disabilità media di tipo cognitivo, fisico o psichico, emergono le opportunità che offre la biodanza per esprimere con sincerità il bisogno di affetto e per scambiarlo in gesti concreti, che fanno sentire più vivi e portatori di valore.  Sono state riportate anche le osservazioni delle educatrici.

Le esperienze raccontate da Marilena Boffo vanno verso la realizzazione delle “Comunità di cura” ipotizzate da Eugenio Borgna in “La fragilità che è in noi”, valorizzando “le tracce incandescenti della sensibilità e della gentilezza, della timidezza e della tenerezza” che il contatto con i diversamente abili possono risvegliare in noi “malati di civiltà”, come il Prof Rolando Toro paternamente ci chiamava.
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Farsi sfiorare da scie incandescenti
di Marilena Boffo

Vorrei partire da come si coniuga il concetto di gioia con la fragilità, rispondendo in particolare alla domanda: "come si può favorire lo sbocciare della gioia nei contesti in cui la fragilità si esprime con più evidenza?". Per abbozzare una risposta ripercorrerò alcune tappe significative del mio percorso di insegnante, che ormai copre quasi due terzi della mia vita. Sono Operatrice di Biodanza dal 2003 e sono insegnante di Scuola Media, ma nei primi anni ho lavorato anche come insegnante di sostegno. Nel corso degli anni, sia come insegnante di sostegno che come insegnante sulle classi, ho potuto verificare confrontandomi con miei colleghi, che le classi in cui c’erano stati inserimenti di ragazzi diversamente abili (quando ovviamente alla base c’era un valido progetto, condiviso da tutto il Consiglio di Classe), alla fine del percorso erano più coese, più integrate affettivamente. Il mettere al primo posto, nelle attività scolastiche, aspetti legati all’accoglienza, alla cura, alla buona relazione tra gli allievi e tra insegnanti e allievi, al rispetto e alla valorizzazione delle diversità, come spesso avviene in situazioni che accolgono allievi diversamente abili, portava nel tempo a un miglioramento delle prestazioni scolastiche, non solo dei diversamente abili ma dell’intero gruppo classe. E ancor più ciò avveniva nelle classi in cui veniva proposta la Biodanza, che ho avuto l’opportunità di sperimentare per alcuni anni nei miei corsi.

Quando cinque anni fa ho ottenuto il trasferimento in corsi per adulti ho sentito la necessità di continuare ad occuparmi di forme diverse di fragilità, ma sempre con l’obiettivo di favorire, attraverso la Biodanza, occasioni di incontro in cui il valore della persona, indipendentemente dalla sua provenienza, livello di istruzione e capacità cognitive fosse messo al primo posto. E così è iniziata la mia esperienza nel CPIA 4 di Torino, sede di Settimo T.se (ex CTP, ex 150 ore) in corsi che accolgono diverse persone: stranieri che devono conseguire la Licenza Media, migranti ospitati dal Centro Fenoglio - Croce Rossa che frequentano corsi di alfabetizzazione e utenti che frequentano diverse tipologie di corsi. Tra i corsi per la crescita personale ho iniziato a proporre Biodanza. Il gruppo è attualmente frequentato dalle 10 alle 15 persone, ora tutte donne con un' età compresa tra i 60 e i 75 anni. Ho parlato di questa esperienza perché da questo gruppo, frequentato da alcune Educatrici di Centri Diurni e da genitori di ragazzi Diversamente Abili, si sono attivati diversi collegamenti con altre realtà del territorio, tra cui L’ENAIP di Settimo e il Progetto Ponte della Cooperativa Il Margine-Unione NET. Alcune partecipanti collaborano come volontarie alle attività di Biodanza proposte nei Centri Diurni per Diversamente Abili. Da quest’anno è inoltre iniziata una collaborazione con il Centro Diurno Il Bosio della Cooperativa Il Margine, di cui non parlerò perché non c’è ancora stato il momento di verifica finale con gli Educatori.

Corsi prelavorativi dell’ENAIP di Settimo T.ese
L’esperienza presso l’Enaip, ente di Formazione Professionale di Settimo T.se si è attuata nell'anno 2015-16 in un ciclo di incontri rivolti a un gruppo di ragazzi con lievi disabilità motorie e cognitive inseriti nei corsi prelavorativi dell’ENAIP. Si tratta di ragazzi che presentano un alto rischio di non essere recuperati dall’abbandono scolastico e di entrare nella schiera dei NEET (not in education, employment or training). L’Enaip li accoglie dando loro la possibilità di acquisire una professionalità di base e li segue nel loro percorso lavorativo, curandone l’inserimento in stage all'interno di aziende del territorio.
Ho proposto Biodanza proprio nella delicata fase di passaggio tra scuola e lavoro e posso sintetizzare l’esperienza con le parole della
Coordinatrice Prof.ssa Mirella Cristiano:“[...] La sperimentazione attuata con il biennio dei corsi Prelavorativi, ci porta ad affermare che la Biodanza, proprio con i ragazzi più vulnerabili, diventa supporto prezioso, leva di sviluppo in più, perché facilita gli adattamenti e i cambiamenti necessari agli allievi per affrontare nuove situazioni e soprattutto i "momenti di transizione" della vita: scuola-lavoro, lavoro-lavoro (passaggio da un lavoro all'altro), favorendo un sostegno affettivo in cui ognuno può scoprire e sperimentare soprattutto i propri punti di forza

Progetto Ponte della Cooperativa Il Margine- Unione NET
Un' altra espereienza di sostegno affettivo si è concretizzata nei percorsi annuali del Progetto Ponte di un incontro alla settimana di un’ora dal 2014Il gruppo è 12-15 persone adulte con disabilità media di tipo cognitivo, fisico o psichico: alcune frequentanti le attività del Progetto Ponte, un’utente alloggiata presso una RSA del territorio e tre utenti di un Gruppo Appartamento.
Collaborano due educatruci: Maria Grazia Saglia del Progetto Ponte e un’educatrice del Gruppo Appartamento. A volte si aggiungono altre educatrici, una volontaria frequentante un gruppo di Biodanza del territorio e, da quest’anno, Federico Baccili e Laura Alfieri, due studenti diciassettenni tirocinanti frequentanti l’Istituto Professionale per i Servizi Socio Sanitari Paolo Boselli.

La Biodanza agisce stimolando le parti sane:
gli abbozzi di creatività dell’individuo, ciò che rimane del suo entusiasmo,
le sue occulte capacità espressive, la sua repressa necessità di affetto, la sua sincerità.
Rolando Toro


Vorrei soffermarmi soprattutto sugli ultimi due aspetti sottolineati dal Prof. RolandoToro, perché anche in contesti in cui diverse forme di disabilità sembrerebbero rendere più difficile la comunicazione, la Biodanza offre tante opportunità per esprimere con sincerità il bisogno di affetto e per scambiare gesti concreti di affetto, che fanno sentire più vivi e portatori di valore.
Le difficoltà motorie, quando l’invito al movimento è associato ad una motivazione affettiva (andare verso un compagno, dargli la mano, camminare e danzare insieme) sembrano meno limitanti. La proposta di camminare o di danzare con un compagno viene sempre accolta con gioia ed entusiasmo e spesso il piacere di fare tanti cambi durante le danze è grande.
La gioia di incontrarsi si coglie già nei momenti che precedono l’inizio dell’attività, nei saluti festosi con cui veniamo accolti e con cui vengono accolti i compagni che si sono assentati nella sessione precedente. Spesso, quando iniziamo la sessione, sono gli utenti stessi a sottolineare le eventuali assenze di compagni, ne sentono la mancanza. ultimamente un utente mi sta chiedendo di dire a una ragazza che non sta frequentando di tornare perché sente la sua mancanza. Questo utente era stato iscritto al corso perché aveva seri problemi ad entrare in relazione e rifiutava ogni tentativo di avvicinamento fisico. Ora nella ronda finale, quando è vicino a me, mi chiede sempre di proporre gli abbracci.

Quello del contatto è un tema delicato, che richiede molta cura: nei primi incontri con gli educatori mi viene spesso comunicato che alcuni utenti eccedono con il contatto, sono troppo irruenti e non sanno darsi dei limiti, mentre da parte di alcuni di loro c’è il rifiuto di ogni tentativo di avvicinamento attraverso il contatto. Ho potuto verificare, dopo alcuni mesi di attività, che spesso arrivano ad autoregolarsi da soli e, dopo aver dato e ricevuto tanti abbracci, riescono a riconoscere quale tipo di contatto fa star bene e imparano a relazionarsi con modalità più rispettose delle reciproche necessità e limiti. L’incontro con l’altro risponde a un’esigenza che tutti gli esseri viventi hanno, ma abbiamo la necessità di essere aiutati a riapprendere questa funzione così naturale della vita e ,così come si può imparare a scrivere leggendo e scrivendo molto, allo stesso modo il buon incontro si apprende sperimentando molte situazioni di incontro, in cui si possa affinare l’espressione dei gesti che avvicinano e restituiscono all’altro il suo valore e la sua dignità. Così gli abbracci possono diventare meno invadenti o, in alcuni casi, si può uscire da una situazione di chiusura e isolamento per sperimentare modalità diverse di stare.

Nel tempo si assiste così ad un miglioramento dell’espressione dell’ affettività. All’inizio molti di loro tendevano a stare soprattutto con uno o due compagni, ma con il passare del tempo questo aspetto si è trasformato e la regola del “cerchio dell’amicizia e della gioia” (stabilita da loro) è stata: nelle consegne in cui viene chiesto di cambiare compagno nessuno deve sentirsi solo e tutti sono più attenti a creare situazioni in cui ogni compagno si possa sentire accolto.

E’ anche migliorata la capacità di interagire con gesti sensibili di cura, mani più leggere e attente alle esigenze del compagno. Alcune proposte (ad esempio l’accarezzamento delle mani o del viso) aiutano a sviluppare la sensibilità e l’attenzione nel prendersi cura dell’altro. Ricevere cura attraverso le carezze e poi restituire la stessa cura a un compagno ha un potente effetto sull’autostima, in quanto alimenta una visione di sé come persone in grado di dare la stessa cura che si è solo abituati a ricevere. C’è stato proprio questa settimana un momento, per me molto emozionante, in cui una ragazza in carrozzina, con scarse possibilità di uso delle mani, ha donato carezze delicate all’educatrice che di solito si prende cura di lei, sentendosi poi valorizzata e riconosciuta in questa sua abilità e condividendo con vocalizzi tutta la sua gioia.

Le danze insieme, gli abbracci, gli accarezzamenti rinforzano l’identità e i legami. E tutti in genere prendono parte all’attività.

In alcuni casi c’è stata una riduzione delle manifestazioni di aggressività. Porto come esempio il caso di un ragazzo che per un certo numero di sessioni, probabilmente per cambiamenti nelle cure farmacologiche, iniziava con difficoltà, rifiutando ogni proposta con atteggiamenti aggressivi nei confronti miei e di chi lo invitava ad interagire. Anche con l’Operatrice presente abbiamo osservato che nel corso della sessione trovava comunque una sua modalità di partecipazione (ad esempio: se non si sentiva di danzare, dava il ritmo battendo le mani o incontrava i compagni dando una stretta di mano) e, attivando le strategie più opportune, si cercava di farlo sentire parte del gruppo, tanto che alla fine della sessione entrava nel cerchio finale di celebrazione. Anche in quei periodi più difficili, nel salutarci alla fine ci diceva a volte sorridendo: “ci vediamo giovedì prossimo”. Le sue espressioni di aggressività durante le sessioni di Biodanza non si sono più verificate.

Incontro con il MONDO
Una mamma recentemente mi faceva notare che i loro figli, finchè seguono un percorso scolastico sono circondati da amici, con cui spesso condividono anche alcune attività nel tempo libero, ma quando termina il percorso scolastico spesso finiscono per relazionarsi unicamente con la famiglia o con gli altri utenti ospitati nei centri diurni e con gli educatori, quindi viene un po’ a mancare una relazione con il resto del mondo. In alcune circostanze (feste di fine o inizio corsi) abbiamo proposto una sessione di Biodanza condivisa con amici, parenti, allievi dei corsi di Biodanza del territorio ed allievi delle scuola di formazione.

Le esperienze sono state molto positive, sia per gli utenti che per i partecipanti esterni. Il linguaggio proposto dalla Biodanza è universale e le più limitate capacità motorie o cognitive non sono state un ostacolo alla comunicazione affettiva e all’espressione spontanea della gioia che può nascere da semplici gesti, come camminare e danzare insieme, prendersi per mano, incontrarsi in un abbraccio. Anzi, sono stati proprio loro i facilitatori di queste sessioni e i partecipanti esterni sono stati molto colpiti  dalla delicatezza, dalla profondità e dalla ricchezza di sfumature di alcuni incontri.

Eugenio Borgna “La fragilità che è in noi”
Mi collego al ricchissimo ed emozionante testo di Eugenio Borgna “La fragilità che è in noi” che propone Comunità di cura, costituite da presenze umane, non necessariamente professionali, capaci di ascolto, vicinanza umana e solidarietà, nelle quali le diverse forme di fragilità possano trovare la speranza di essere accolte. Egli definisce questa cura un Impegno etico.

Oggi si tende ingiustamente a guardare alla fragilità come a una forma di vita inutile e antisociale, che ha solo bisogno di cure e che al massimo ci può suscitare compassione, senza intravedere in essa “le tracce incandescenti della sensibilità e della gentilezza, della timidezza e della tenerezza”. E mi vien da pensare che forse noi, “malati di civiltà” come ci definiva a volte il Prof. Rolando Toro, impegnati a produrre di più, apparire di più, esigere sempre di più da noi stessi, incuranti nei confronti dei nostri limiti e della nostra stessa fragilità, parte della vita, a volte non veniamo neppure sfiorati da queste scie incandescenti e ci priviamo così di ciò che renderebbe più sano, più ricco e più autentico il nostro vivere insieme.

L’obiettivo futuro può diventare allora un cerchio sempre più grande, “comunità di cura” reciproca in cui incontrarsi e sperimentare le delicate sfumature di una gioia che non ha le tinte accese dell’ allegria che possiamo ricercare per “staccare la spina”, per distrarci senza lasciar traccia in seguito. E’ invece una gioia sottile che ci connette alle più profonde possibilità di bellezza della vita, anche quando la vita può sembrare poco generosa a uno sguardo che si ferma in superficie. E’ la gioia che scaturisce in presenza di un sorriso che, inatteso, si posa su un volto come una farfalla su una rosa bianca appena sbocciata, è una gioia che in molti momenti che ho trascorso con questi ragazzi “specialmente abili” ha riempito il mio cuore di venti nuovi.

Termino con le parole di Dario Petrini, un compagno del “Cerchio dell’amicizia e della gioia”: “Sono felice di essere qui perché la vostra gioia è anche la mia gioia”.

Marilena Boffo




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